RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Alla Diaz, politica criminale
Genova, 18 settembre 2008
«Alla Diaz, politica criminale»
Matteo Indice
«Si è visto come l’operazione Diaz è decisa, pianificata e organizzata con
finalità ben precise e inserite in direttive di politica criminale più
generali, elaborate dal Dipartimento di pubblica sicurezza». E quelle
linee di «politica criminale» risultavano «indicate e attuate su
iniziativa del Capo della polizia nella fase finale del G8». Le pagine
sono la numero 441 e la 463, il documento è la «memoria conclusiva»
depositata ieri dai sostituti procuratori Enrico Zucca e Francesco Cardona
Albini nel processo ai 29 poliziotti accusati del pestaggio sui no-global
alla scuola Diaz, avvenuto la notte fra il 21 e il 22 luglio 2001 durante
il G8. Ma la ripresa delle udienze, il rush finale che entro un mese e
mezzo porterà alla sentenza, non poteva aprirsi in modo più esplosivo.
Perché quel Capo era Gianni De Gennaro, i due super-funzionari chiamati in
causa dai magistrati sono Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, e tutti i
protagonisti di ciò che l’accusa definisce «politica criminale» sono
ancora oggi servitori dello Stato con compiti di altissima responsabilità.
De Gennaro è diventato numero uno del Dis (Dipartimento informazioni per
la sicurezza) ovvero l’organismo che coordina i servizi segreti; Gratteri
è responsabile della Direzione centrale anticrimine, in pratica il numero
tre della polizia; Luperi guida il Dipartimento analisi dell’Aisi, il
crocevia delle notizie riservate che circolano all’ex Sisde. Ruoli-cardine
nella gestione della sicurezza, ricoperti da persone che secondo i pm
genovesi hanno compiuto interventi eversivi poiché - scrivono a chiusura
del nuovo dossier - «si dimentica che nulla è più eversivo per lo Stato
che l’azione del rappresentante delle istituzioni che ne mina la
credibilità». Non è inoltre escluso che i pm alleghino pure copia della
richiesta di rinvio a giudizio per lo stesso De Gennaro, formulata
nell’inchiesta per “falsa testimonianza” in cui è indagato: a giudizio
della Procura avrebbe fatto cambiare la versione sull’affaire Diaz all’ex
questore di Genova Francesco Colucci per evitare complicazioni.
E mentre le 471 pagine di “memoria” finivano «agli atti», si registrava un
altro momento clou. La richiesta da parte dell’avvocato Patrizia
Maltagliati - uno dei legali dei manifestanti - di riconoscere non solo il
danno «biologico» ai giovani picchiati, ma anche quello «esistenziale».
«Per molti di loro - ha ribadito - la vita dopo l’irruzione è cambiata in
modo netto. Alcuni hanno abbandonato gli studi, altri hanno preso
decisioni che non avrebbero mai assunto». Lo quantifica in 35 mila euro
medi per un ragazzo di 35 anni. E considerato che le parti civili al
processo sono più di ottanta, non ci vuol molto perché la cifra richiesta
lieviti parecchio.
E però la novità più clamorosa è la memoria dei pubblici ministeri. In un
altro dei passaggi-chiave, nel quale si focalizzano ancora le
responsabilità dei comandanti che hanno «supremazia assoluta» sui
sottoposti, Zucca e Cardona fanno una lunga premessa sul concetto di
«catena di comando», come affrontato dai tribunali penali internazionali.
Richiamano sommariamente l’impostazione giuridica (senza paragonare i
fatti nudi e crudi per la sproporzione che ne deriverebbe) delle indagini
su ex Jugoslavia e Ruanda. E poi citano la Cassazione sull’eccidio di
Sant’Anna di Stazzema, il massacro di 560 innocenti compiuto dalle SS il
12 agosto 1944.
«Il confronto - premettono - può sembrare azzardato. Lo è di meno ove si
consideri che dopo l’abbandono del campo delle unità impegnate
nell’operazione Diaz (che avevano usato la forza «oltre ogni
ragionevolezza»), ben tre persone sono state trasportate all’ospedale in
codice rosso, cioè con parametri vitali compromessi e a immediato rischio
letale». Ma senza che nessuno dei “generali” di Genova se ne preoccupasse.
Quindi gli accostamenti che servono a spiegare perché, su Sant’Anna, fu
riconosciuta la responsabilità dei capi. Insistono, Zucca e Cardona. «La
finalità dell’azione (nell’eccidio, ndr) era quella di “fare terra
bruciata” intorno ai partigiani e scoraggiare aiuti nei loro confronti
provenienti dalla popolazione civile. La giustificazione, anche desumibile
da documenti negli archivi, era stata quella di un’azione “contro le
bande”, con uccisione di “banditi” e distruzione della località “ridotta
in cenere” perché considerata “la prima base dei banditi”. Questa
equiparazione sostanziale tra popolazione civile, che prestava assistenza
ai partigiani e questi ultimi, per la Corte è elemento di “eloquente
dimostrazione” d’una premeditazione». I vertici del battaglione e delle
compagnie furono considerati colpevoli in quanto «ricoprivano il ruolo di
comandanti di squadra o di compagnia delle forze impegnate. Anche un
imputato, pur non avendo materialmente partecipato, ma che ricopriva il
ruolo di “aiutante maggiore” nella testa del battaglione, è stato
considerato responsabile per il contributo fornito all’ideazione e
pianificazione del raid».
Difficile prevedere quanto le ultime parole della Procura influiranno
sulla sentenza. Ma probabilmente mai, prima d’ora, era entrato nell’oceano
di carte sul G8 un ragionamento così duro sull’operato di alti funzionari,
che ancora oggi rappresentano l’ossatura della polizia e dei servizi
segreti.
Più agevole è invece abbozzare una previsione dei tempi “tecnici” che
scandiranno le prossime settimane, in attesa del pronunciamento dei
giudici. Fino al 26 settembre parleranno le parti civili: ieri, oltre
all’intervento di Patrizia Maltagliati sul danno esistenziale, avevano
preso la parola Filippo Guglia (che ha mostrato un dettagliatissimo file
interattivo) e Riccardo Passeggi, concentrato sulla responsabilità degli
agenti del Nucleo antisommossa di Roma. A ottobre sarà la volta dei
difensori dei poliziotti. E alla fine del mese o all’inizio di novembre la
sentenza del tribunale presieduto da Gabrio Barone. Nel mezzo, tuttavia,
andrà in scena un altra udienza cruciale, quella dell’avvocato dello
Stato. Per i massacri nella caserma di Bolzaneto chiese scusa, non è detto
lo faccia anche per la Diaz.